6 Aprile 2022 mostre e progetti, reportage

Le 3 e 32 della memoria

‘Apro gli occhi senza inoltrarmi nelle tre e trentadue della memoria.

Il terremoto mi scuote una spalla, con le dita magre ad artiglio’

(D. Di Pietrantonio, Bella mia)

L’Aquila è la mia città.

Mio padre ci è nato e cresciuto e io ci ho trascorso gli anni più belli e spensierati della giovinezza e delle grandi aspettative all’università. La mia passione per la fotografia è nata in quegli anni. Lì ho costruito la mia famiglia e sono nati i miei figli.

Lì ci sono gli amici di sempre che occupano un posto speciale nel mio cuore.

Il 6 aprile 2009 alle 3 e 32, noi eravamo lì, nella nostra casa, nel nostro letto…

C’erano state nei giorni precedenti tante scosse, certo, ma nessuno di noi, pur nella preoccupazione, aveva la percezione vera di un pericolo tanto grande.

Alle 11 di quella sera eravamo con i vicini di casa, sul pianerottolo, a rassicurarci: la nostra casa è nuova, cosa vuoi che succeda?

Le 3.32, un movimento lungo e forte, infinito.

Non si riesce a muoversi; non si riesce a gridare. Il boato, il buio.

Intorno a noi vetri e piatti rotti, crepe sui muri.

Corriamo fuori senza consapevolezza di ciò che avremmo trovato, senza sapere cosa fare.

Siamo tutti nel cortile, stiamo bene, ma il palazzo sembra bombardato…

Spaventati e storditi prendiamo la macchina per spostarci; non sappiamo dove andare, ma la prima necessità è allontanarsi dalla nostra casa che ora ci fa paura.

Ci rendiamo conto che la città è devastata. Macerie, odore acre di gas, macchine schiacciate dai crolli, gli occhi spaventati dei bambini, le richieste d’aiuto in strada, persone che scavano a mani nude in attesa dei soccorsi.

Tutto il resto è storia: la macchina della protezione civile, l’impegno impagabile dei vigili del fuoco, le C.A.S.E., la ricostruzione…

Quelle che seguono sono solo alcune delle foto di un reportage che ho fatto a breve distanza dal terremoto, nelle zone rosse, nel centro storico della città.  Ho scattato le fotografie usando una tecnica ‘distorsiva’ che mi permettesse di avere una visione ampia. Volevo, in un solo scatto, abbracciare più dettagli possibile.

Sono passati 13 anni, oggi la città è ben diversa per fortuna, ma queste fotografie mi emozionano ancora.

Credo che nulla più di un reportage fotografico possa testimoniare l’accaduto. Nulla più delle immagini. possa emozionare.